• Membri fondatori

    Saverio Caporusso, Luciano Iurino, Luca Eberhart

  • Società

    S.r.l. ordinaria nata nel 2015 in Spagna

  • Giochi realizzati

    HyperParasite (2020), Blind Fate: Edo no Yami (2021)

  • Sito web

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Per capire la storia di Troglobytes Games bisogna partire dagli anni ’80.
Siamo a Gravina di Puglia, a Bari. L’unico modo per poter giocare a qualcosa è andare in sala giochi. È un luogo dove si passano le ore, i giorni, le settimane. Con l’arrivo dei primi PC, il tutto diventa ancora più magico. Un gioco ti accompagna per mesi, è completo dalla A alla Z e l’obiettivo della tua vita è finirlo.
Man mano le console diventano più abbordabili, ma nel mentre si scoprono anche i giochi di ruolo come Dungeons & Dragons, che insegnano a montare dei sistemi interi per poter intrattenere le persone. Con questo approccio e questa filosofia, Saverio Caporusso costruisce il game design dei giochi di Troglobytes Games, società che viene fondata in Spagna nel 2015 insieme a Luciano Iurino e Luca Eberhart, rispettivamente programmatore ed artista, che sono nell’industria da più di 20 anni e che hanno lavorato in precedenza per diverse case di produzione.

Il primo gioco del team è HyperParasite, un rogue-lite twin-stick shooter totalmente autofinanziato.
Questo progetto ha permesso di ottenere molta credibilità, permettendo a Troglobytes Games di dimostrare al mondo di essere capaci di realizzare e di vendere un prodotto.
L’ispirazione si può ritrovare in questi tre elementi: giochi arcade, per quel che riguarda la meccanica; anni ’80, per l’estetica; difficoltà alta, perché un gioco deve essere sfidante e capace di intrattenere il giocatore.

Tuttavia, HyperParasite non ha ricevuto il riscontro che il team si aspettava. Ha sicuramente ottenuto dei riconoscimenti importanti (Famitsu, Forbes), ma ci si è resi conto che veniva apprezzato da un pubblico specifico che ricercava e ne valorizzava l’aspetto retro, l’utilizzo di personaggi iconici degli anni ’80 e le citazioni ai videogiochi arcade.

Ciononostante, è stato un passaggio fondamentale, in quanto grazie ai risultati di HyperParasite sono riusciti ad ottenere un accordo col publisher 101XP per poter produrre il loro progetto attuale: Blind Fate: Edo no Yami.

Si tratta di un action platform con combattimenti acrobatici, ambientato in un futuro post-apocalittico popolato da cyborg che stanno fondando una nuova era di samurai. Il protagonista Yami è cieco, e può vedere il mondo che lo circonda solo attraverso le informazioni che riceve da una banca dati. Questi dati però non sono aggiornati, per cui è necessario raccogliere informazioni ambientali aggiornate dai nemici, i quali, una volta sconfitti, trasmettono le registrazioni di ciò che hanno visto fino ad allora.
Tengu, il mentore di Yami, pone sul viso del samurai una maschera da Oni, amplificandone i sensi. Calore, olfatto e udito diventano capaci di seguire una pista e studiare i pattern, permettendo al giocatore di trovare e riconoscere il tipo di nemico – le tipologie sono basate sugli Yokai giapponesi e hanno diverse caratteristiche –, per affrontarlo e acquisire nuovi dati.
Anche in questo progetto l’influenza anni ’70 e anni ’80 è molto forte, ci sono espliciti riferimenti a Strider e all’estetica folkloristica giapponese molto presente nei cartoni animati trasmessi in Italia all’epoca.

Perché il team ha sede in Spagna? Nonostante in Italia ci siano persone molto brave per lo sviluppo dei videogiochi, mancano delle figure esperte capaci di vendere il prodotto. Il tessuto spagnolo è molto più attento al mondo dei videogiochi rispetto a quello italiano e gli sviluppatori vengono sostenuti molto di più. Alcuni membri di Troglobytes Games hanno provato per anni a lavorare in Italia, ma è un mercato ancora troppo acerbo e poco attento. Un esempio: in Spagna i giochi indie vengono riconosciuti come beni culturali e questo aspetto si riflette nel pubblico, il quale è molto attento e non cerca le novità solo in ambito AAA.

Il sogno dello studio è di poter sempre lavorare al gioco successivo, riuscire a dare lavoro a diverse persone e avere gli strumenti per poter avere un data analyst.

Un consiglio per i giovani sviluppatori è avere qualcuno nel team a tempo pieno che possa occuparsi del marketing. Come si imparano a fare le illustrazioni, le animazioni e a programmare, bisogna imparare anche a fare il marketing, ovvero occuparsi delle pubbliche relazioni, dei press kit, del rapporto con il publisher, la partecipazione agli eventi, ecc. La comunicazione è un aspetto molto importante per la visibilità di un gioco e la persona che svolge questo compito deve essere capace di comunicare un prodotto che molto spesso è ancora in fase di produzione. Non è scontato essere bravi a creare hype e attirare i curiosi!
È bene partire da progetti piccoli, di 6-8 mesi, per cominciare a capire come si lavora e come vendere il gioco o raggiungere un possibile publisher. Le game jam sono delle ottime occasioni per fare molta pratica.
Infine, analizzare il mercato è molto utile per capire di cosa necessita in un determinato momento, un progetto bocciato qualche anno prima potrebbe rivelarsi un’ottima opportunità.

Si ringrazia Saverio Caporusso per l’intervista.