Nell’era moderna dei videogiochi, gli sparatutto hanno guadagnato un posto di rilievo nell’industria del gaming, attraendo milioni di giocatori con la promessa di avventure adrenaliniche e azioni frenetiche. Questo genere è caratterizzato da una meccanica di gioco incentrata sull’abbattimento dei nemici attraverso le armi da fuoco; tutto ciò qui sopra elencato potrebbe sembrare, a prima vista, in netto contrasto con la promozione di messaggi antibellici o di pace. Tuttavia, una prospettiva più approfondita rivela un campo complesso e sfaccettato, dove i videogiochi sparatutto possono essere utilizzati come strumenti per esplorare e comunicare concetti contro la guerra, il militarismo e la violenza.
Nel seguente articolo, verrà esplorato il paradosso apparente dei videogiochi sparatutto: come possano, nonostante la loro natura intrinseca di simulazione del combattimento armato, servire da veicoli efficaci per trasmettere messaggi antibellici e incoraggiare la riflessione critica sulla violenza.
Nel corso di questo articolo, considereremo diversi aspetti chiave, tra cui la narrazione, il game design, il concetto di gameplay etico ed il modello di disimpegno morale all’interno dei titoli sparatutto. Verrà osservato, in aggiunta, come questi giochi possano influenzare il pensiero critico e la sensibilizzazione sulla complessità delle questioni legate alla guerra, oltre a fornire spunti per il dibattito sulla rappresentazione della violenza nei media interattivi.
Un esempio interessante per poter parlare di questo tema è rintracciabile in Call of Duty: Modern Warfare (Activision Blizzard, 2019), in particolar modo quanto accade nella missione ‘’The Embassy’’. In questa sezione interpretiamo l’operatore speciale Kyle Garrick, il quale, assieme ad altri commilitoni, deve farsi strada all’interno di un’ambasciata americana di una nazione fittizia per fermare un nemico conosciuto come ‘’il macellaio’’ ed i suoi uomini. L’incontro con questo antagonista avverrà di fronte ad un corridoio protetto da un vetro antiproiettile: il macellaio, oltre ai suoi uomini, avrà con sé in ostaggio l’ambasciatore e suo figlio. Durante questo incontro, l’agency del giocatore è ridotta rispetto a come il titolo lo ha abituato in precedenza: l’utente può muoversi e guardarsi attorno, ma non gli è permesso di intervenire in soccorso degli ostaggi. L’unica azione disponibile è quella di tentare di aprire la porta di fronte a lui attraverso la pressione di un tasto. Ciò porterebbe, tuttavia, ad uno scripted event in cui il macellaio uccide il personaggio controllato dal giocatore con un colpo di pistola e, di conseguenza, al game over. In parole povere, il game design costringe l’utente a divenire un semplice spettatore degli eventi.
Dopo qualche linea di dialogo, la situazione precipita rapidamente: il macellaio uccide davanti ai nostri occhi entrambi gli ostaggi, per poi forzare il protagonista ed i suoi alleati alla ricerca di una strada alternativa per poterlo raggiungere. Per proseguire nella campagna a giocatore singolo che il titolo propone, non c’è altro modo se non assistere inermi a questo evento.
Schermata tratta dalla missione The Embassy in Call of Duty: Modern Warfare (2019)
In un’intervista, il narrative director di Call of Duty: Modern Warfare, Taylor Kurosaki, discute questo ed altri momenti simili presenti nel videogioco. In particolare, si sofferma su quanto essi siano necessari per i sentimenti che gli sviluppatori volessero far nascere nei giocatori:
«When we first started talking, we talked about the philosophy of making games; design, mechanics, and narrative being inextricably linked. You can’t make a story about something or say it’s about something and not have the player experience be about that thing. So, if we’re saying that the burden of a modern combat operator is that there are not always good choices, or there isn’t always a clear cut way forward, that they’re put in these no-win situations and they do their best, you can’t just have a veneer of a narrative wrapper on top of the game and not have the player experience that. Otherwise, those [design, mechanics, narrative] are sort of disconnected, and then you might as well just be making a movie and a little minigame. If the game is going to be about that thing, we walk the walk and we talk the talk1».
L’idea dietro questa affermazione è che, al fine di trasmettere all’utente le difficoltà che gli operatori incontrano nelle situazioni di conflitto armato, sia necessario introdurre delle no-win situations, ovvero delle situazioni in cui non vi è una condizione di vittoria.
Al fine di comprendere se quanto proposto da questo design sia funzionale a creare un’esperienza moralmente rilevante, è necessario introdurre gli studi di Sicart riguardo il gameplay etico ed il modello di disimpegno morale nei videogiochi violenti proposto da Hartmann.
1 Hussain, T & Higham, M. (2019, Novembre 1). Call Of Duty Dev Addresses Highway Of Death, Waterboarding, And The Intent Of Its Story. Consultato in data Agosto 19, 2023, da https://www.gamespot.com/articles/call-of-duty-dev-addresses-highway-of-death-waterb/1100-6471037.
In The Ethics of computer games2, Sicart riporta una distinzione tra etica e morale. L’etica viene definita come un campo complesso che si occupa di definire un insieme organizzato di principi morali e delle metodologie adottate per esaminarli e interpretarli. In altre parole, l’etica fornisce una struttura intellettuale che guida il nostro pensiero e le nostre decisioni riguardo a ciò che è giusto e sbagliato, consentendoci di valutare e affrontare questioni morali in modo ragionato e coerente. D’altra parte, la morale è descritta come un sistema valutativo più diretto e pragmatico, in cui le azioni o le entità sono giudicate principalmente attraverso un filtro binario: conformità o deviazione rispetto alle norme stabilite di correttezza e trasgressione. Questo quadro valutativo morale è spesso radicato nelle convenzioni culturali, nelle leggi e nelle norme sociali che variano da società a società e da cultura a cultura. In sintesi, mentre l’etica si preoccupa di fornire una base teorica e concettuale per comprendere i principi morali e come applicarli, la morale è più orientata all’applicazione pratica di questi principi, spesso seguendo le convenzioni e le norme della società in cui viviamo. Entrambe svolgono un ruolo fondamentale nel plasmare il nostro comportamento e le nostre decisioni, ma operano su livelli diversi di astrazione e complessità.
Sicart definisce il gameplay etico come:
«[…] the ludic experience in which regulation, mediation, or goals require from the player moral reflection beyond the calculation of statistics and possibilities. This type of gameplay requires an understanding of games as objects with values embedded in their design. These objects establish a mode of relation with the player, using a designed purpose to limit their agency in the game world. Ethical gameplay requires an understanding of players as moral agents who are capable of reflecting ethically on choices that are given as part of the game experience. In summary, game design is ethically relevant, and play is a moral action3».
Perché si tratti di gameplay etico, dunque, è essenziale che il gioco non si limiti semplicemente a creare un ambiente ludico, ma che svolga anche il ruolo di definire in modo chiaro un quadro etico attraverso le proprie norme e regole. Inoltre, l’atto di giocare dovrebbe andare oltre il mero divertimento e coinvolgere il giocatore in una riflessione moralmente significativa, con l’obiettivo di trasformarlo in un agente morale consapevole. L’esperienza di gioco dovrebbe portare l’utente a considerare questioni etiche, ad esempio, attraverso le scelte morali all’interno del gioco o le conseguenze delle azioni compiute.
In termini di game design, ciò si traduce in due approcci differenti: il design etico aperto ed il design etico chiuso. Sicart argomenta che nella prima tipologia di design, troviamo dei titoli che permettono ai valori dei giocatori di entrare in relazione con il mondo di gioco e che incoraggiano questa interazione. Questo processo coinvolge il ragionamento morale del giocatore e i suoi valori personali, sia nel suo ruolo di giocatore che, potenzialmente, come individuo nella vita reale. Nel dato approccio di progettazione, i valori dei giocatori sono considerati parte integrante dell’esperienza di gioco e possono influenzare direttamente lo sviluppo della trama e le dinamiche del game world. Questo significa che i giocatori sono stimolati a esplorare, esprimere e applicare la loro morale all’interno del contesto ludico. Ciò non solo rende l’esperienza di gioco più coinvolgente e personalizzata, ma permette anche agli utenti di affrontare dilemmi e sfide morali in modo autentico. L’autore sottolinea, inoltre, l’importanza che il mondo di gioco sia aperto e reattivo alle scelte morali dei giocatori, permettendo loro di vedere le conseguenze delle proprie azioni sia a livello etico che narrativo. Questo avvicina i giocatori al processo decisionale morale e permette al gioco di rispondere in modo coerente alle scelte effettuate, creando così un’esperienza più ricca e coinvolgente.
Nel contesto di un design etico chiuso, al contrario, gli sviluppatori progettano giochi in cui le scelte dei giocatori sono predefinite e vincolate dalle decisioni di progettazione del gioco stesso. In questo tipo di approccio, i giocatori hanno a disposizione un insieme limitato di scelte morali predeterminate dal gioco, senza la possibilità di contribuire con i propri valori personali o modificarne il sistema etico. Di conseguenza, gli utenti sono costretti a conformarsi ai valori e alle scelte imposte dal videogame stesso, creando un senso di disempowerment in quanto non possono influenzare il mondo di gioco con le proprie scelte morali. Tuttavia, questa restrizione forza i giocatori a riflettere sui valori proposti dal design e a adottarli nel corso della sua fruizione. Questo procedimento è particolarmente evidente nei titoli sparatutto che si concentrano sulle azioni belliche, dove il seguire gli ordini spesso viene presentato come un mezzo per compiere azioni considerate giuste. In tale contesto, il design etico chiuso emerge come il modello più efficace per creare esperienze videoludiche che sfidino e invitino a riconsiderare i valori militaristici intrinsechi a questo genere di videogiochi.
Piuttosto che creare indifferenza morale rispetto alla violenza rappresentata, il design etico chiuso permette di creare complicità tra le azioni del giocatore e quelle dell’avatar che egli controlla, provocando il meccanismo della frizione cognitiva: questo si verifica quando i valori a cui il giocatore è costretto a sottostare non collimano con quelli che egli ritiene moralmente adeguati.
2 Sicart, M. (2011). The ethics of computer games. MIT press.
3 Sicart, M. (2013). Beyond choices: The design of ethical gameplay. MIT Press.
Il concetto di frizione cognitiva nei videogiochi affonda le sue radici nella teoria dell’inconsistenza cognitiva sviluppata da Leon Festinger. Secondo Festinger, l’individuo è spinto a ridurre questa frizione al fine di conseguire una coerenza mentale4. È qui che si sviluppa la teoria del disimpegno morale: esso si manifesta quando le persone adottano strategie psicologiche e cognitive per giustificare o minimizzare l’impatto delle loro azioni negative sulla percezione della propria moralità.
Per introdurre il moral disengagement model, Tilo Hartmann utilizza come esempio un esperimento compiuto assieme a Voroder nel 20105,in cui ai partecipanti è stato richiesto di giocare ad una versione modificata di Operation Flashpoint (Bohemia Interactive, 2001). Inizialmente, tutti i partecipanti hanno assistito a una cutscene in cui veniva rappresentato un campo di tortura preso d’assalto da soldati delle Nazioni Unite (ONU) con l’obiettivo di ripristinare la giustizia in nome dell’umanità. I partecipanti sono stati assegnati in modo casuale a due gruppi: il primo avrebbe interpretato il ruolo di un soldato paramilitare, incaricato di difendere il campo di tortura (condizione ingiustificata), mentre il secondo avrebbe assunto il ruolo di un soldato dell’ONU incaricato di attaccare il campo in nome dell’umanità (condizione giustificata). Durante lo studio, si è riscontrato che gli individui che hanno interpretato dei soldati paramilitari si sono sentiti più colpevoli di coloro che hanno agito come soldati delle Nazioni Unite.
Con il suo modello di disimpegno morale nei videogiochi violenti, Hartmann suggerisce che i videogiochi strutturino la violenza sottoforma di azioni moralmente giustificate, al fine di renderla più piacevole all’utente. Ciò avviene grazie agli otto fattori di disimpegno morale esposti da Bandura6, tra i quali troviamo, ad esempio:
Trasferendo il discorso ai videogiochi violenti, Hartmann7 individua quattro fattori di disimpegno morale:
Tenendo a mente il concetto di disimpegno morale e la tipica rappresentazione della violenza nei videogiochi militaristici, si apre la possibilità di concepire un videogioco antibellico. Attraverso un’analisi critica di questi elementi, è fattibile sviluppare un approccio che favorisca una comprensione più profonda delle dinamiche della violenza e delle sue conseguenze, creando spazio per un’esperienza videoludica che contribuisca a promuovere un dibattito sensibile e critico sul tema della guerra.
4 Lin, J., Liu, R. D., Ding, Y., Yang, Y., Jiang, S., & Ding, Z. (2023). Counter-attitudinal intervention decreased positive attitudes and behavioral tendencies towards video games. Computers & Education, 201, 104816.
5 Hartmann, T. (2017). The ‘moral disengagement in violent videogames’ model. Game Studies, 17(2).
6 Bandura, A. (2011). Moral disengagement. The encyclopedia of peace psychology.
7 Hartmann, T. (2017). The ‘moral disengagement in violent videogames’ model. Game Studies, 17(2).
È possibile ora analizzare la sequenza di Call of Duty: Modern Warfare precedentemente descritta tenendo a mente le teorie esposte. Dal punto di vista del gameplay etico, essa non rappresenta un esempio di rilievo: il giocatore non entra in conflitto con i propri valori e non deve affrontare le conseguenze delle proprie azioni. L’utente è costretto alla posizione di spettatore, sebbene la sua agency non sia mai completamente azzerata, di un atto eticamente inaccettabile. Al contrario di quanto descritto riguardo il design etico chiuso, qui il giocatore non è costretto a compiere delle azioni che causano in lui frizione cognitiva. L’utilità di tale sequenza è rintracciabile tenendo a mente il modello di disimpegno morale: le azioni che il nostro nemico compie sono utili a disumanizzarlo e a far sì che l’utente successivamente non si ponga dilemmi morali quando si ritroverà a sparare ai suoi uomini. Al contrario, egli avrà guadagnato una nuova giustificazione morale per proseguire nella campagna facendosi strada eliminando i nemici che si pongono tra lui e l’obiettivo della missione.
Un’ulteriore criticità è rintracciabile in quanto affermato dal narrative director riguardo alla creazione di un’assenza di condizioni di vittoria. Durante la spiegazione del design etico chiuso, Sicart tratta del videogame September 12th (Newsgaming, 2003):
«When playing this game, we initially create a set of values based on what the design and other elements such as the instructions suggest to us. We are in control of a weapon, there are terrorists, and we act: we shoot, there are victims, innocents are mourned, and mourners turn into terrorists in an endless cycle. The game never evaluates the morals of our actions, but it appeals to our ethical values to understand that the only ethical gameplay is not playing, suspending our agency in the game world»8.
Schermata tratta da September 12th.
All’interno di questo ciclo ininterrotto di morte e distruzione, il titolo richiama i valori del giocatore, sottolineando l’importanza di comprendere che l’unico comportamento moralmente accettabile è smettere di giocare, ovvero rinunciare alla propria agency. Ciò si verifica perché l’unica interazione possibile in questo gioco coinvolge l’uccisione dei terroristi, e qualsiasi uso della nostra agency porta inevitabilmente alla creazione di ulteriori nemici. Si tratta di una situazione senza via d’uscita, poiché il gioco stesso si basa sulla mancanza di una condizione di vittoria per il giocatore.
Il gioco non si basa su una situazione chiaramente definita in cui il giocatore può ottenere una vittoria, piuttosto sottolinea il messaggio etico e politico insito nella sua struttura e nel suo contenuto. In questo contesto, il giocatore è invitato ad esplorare le dinamiche del gioco e a riflettere sulle implicazioni morali e politiche senza la presenza diretta di un obiettivo di vittoria tradizionale. Dopo l’ennesimo gameplay loop privo di una vera risoluzione, il giocatore inizia a provare una sensazione di distacco nei confronti di September 12th, che lo spinge a riflettere più intensamente su come sta per agire e su come si è comportato precedentemente all’interno del sistema di gioco. In questa situazione, ci si rende rapidamente conto che l’unico modo per ottenere una vittoria morale è abbandonare completamente questo gioco.
In sintesi, la no-win situation esposta in Call of Duty: Modern Warfare non crea complicità nel giocatore con ciò che sta compiendo. Invece che essere una modalità appropriata per far sì che l’utente si fermi a ragionare sul suo modo di agire all’interno del mondo di gioco o sulle azioni che gli accadono attorno, essa funge da giustificazione morale per la violenza che il giocatore andrà a perpetrare nelle missioni successive.
8 Sicart, M. (2011). The ethics of computer games. MIT press.
Un’esperienza di gioco utile a decostruire lo sparatutto e a presentarlo come un modello per messaggi contrari alla guerra è rappresentata da Spec Ops: The Line (Yager Development, 2012). La trama del titolo inizia apparentemente in modo semplice per poi divenire più complessa con il progredire del giocatore nella storia. Questo sparatutto in terza persona è ambientato in una Dubai devastata da tempeste di sabbia che hanno flagellato la città per mesi. Un trio di soldati, guidati dal protagonista Martin Walker, si dirige verso la città con l’obiettivo di cercare una squadra di soldati americani dispersi sotto il comando del colonnello John Konrad. Inizialmente, il colonnello Konrad era stato inviato a Dubai per evacuare i cittadini durante le tempeste di sabbia, ma aveva poi deciso di rimanere in città per aiutare la popolazione e mantenere l’ordine. Man mano che Walker e la sua squadra si addentrano sempre più nella città, scoprono che Dubai è caduta in uno stato di completo caos. Le forze nemiche, tra cui miliziani locali, hanno preso il controllo della città, trasformandola in un ambiente ostile e violento. La trama si svela attraverso una serie di colpi di scena, gradualmente rivelando la verità sulla situazione di Dubai e il destino della squadra del colonnello Konrad.
È una volta raggiunto l’ottavo capitolo, che Spec Ops: The Line presenta all’utente una delle sequenze di gioco più drammaticamente memorabili. In questo punto della trama, il titolo espone in modo spietato le capacità di un design etico chiuso, creando inevitabilmente una svolta sia nei protagonisti della storia che nell’atteggiamento del giocatore verso l’esperienza di gioco. L’utente si trova di fronte a un dilemma cruciale: decidere se utilizzare il fosforo bianco per eliminare le truppe del battaglione scomparso che ostruiscono la progressione di Walker. Tuttavia, questa scelta si rivela una trappola, un aspetto che il gioco riconosce attraverso il dialogo tra Walker e i suoi compagni. I giocatori ed il protagonista non possono scegliere di risparmiare le truppe, in quanto non esiste un’altra soluzione per superarle. Per proseguire, l’utente è costretto a compiere questa terribile azione. Questo momento rappresenta una sorta di rivelazione: poiché i giocatori desiderano continuare la narrazione eroica promessa, si trovano costretti a commettere questo crimine9. Il giocatore è forzato ad utilizzare il fosforo bianco contro le unità nemiche, rappresentate come semplici punti bianchi sul radar di Walker. Questa è una scelta astuta da parte dei creatori del gioco: da un lato, essa disumanizza le persone che vengono colpite, e dall’altro richiama l’uso di armi reali nella guerra contemporanea. Successivamente, il giocatore si dirige verso il luogo dell’attacco chimico e scopre che anche dei civili inermi sono stati uccisi. Un soldato ferito rivela a Walker che l’intenzione era quella di metterli in salvo.
Schermata tratta da Spec Ops: The Line.
Sebbene, durante questa sequenza, un nostro commilitone insista sul fatto che una seconda opzione è sempre presente, Walker controbatte sostenendo che non c’è altra scelta se non quella di utilizzare il fosforo bianco. Dal punto di vista del design del gioco, Walker ha ragione: per avanzare nella narrazione, questa è un’azione necessaria. Tuttavia, come sottolinea Koegh10, ciò ha generato un certo disagio tra i giocatori, poiché il gioco sembra inizialmente offrire una scelta, ma poi limita la loro libertà d’azione. In realtà, un’alternativa esiste: per Walker, la soluzione è quella di voltarsi e lasciare Dubai. Per noi giocatori, l’alternativa è quella di optare per non giocare a sparatutto che richiedono l’uso del fosforo bianco contro altri esseri umani.
Qualora l’utente decidesse di continuare l’avventura dopo quanto descritto, il titolo inizierà a colpevolizzare la complicità del giocatore attraverso la rottura della quarta parete. I messaggi presenti nelle schermate di caricamento, che prima offrivano consigli di gameplay al giocatore, subiscono una trasformazione significativa. Essi diventano più riflessivi ed intrusivi, dando l’impressione che il gioco stia cercando di coinvolgere il giocatore ad un livello più profondo. Sicart espone come, durante queste schermate:
«[…] the game reminds players of the nature of their actions in the game and posts messages that are intended to question their complicity. The game demands complicity but questions it too, creating the types of dissonance that lead to ethical gameplay»11.
Attraverso questa rottura della quarta parete, il gioco mette in discussione la complicità dei giocatori nelle azioni che sono chiamati a compiere, creando un’ambiguità tra ciò che è necessario fare per avanzare nella trama e ciò che è eticamente accettabile. Spec Ops: The Line costringe il giocatore ad affrontare complesse sfide morali e, allo stesso tempo, solleva dubbi sulle azioni che l’utente ha dovuto intraprendere per progredire nell’esperienza di gioco. Questa dualità tra la richiesta di complicità e la messa in discussione di essa stessa crea una dissonanza nei giocatori. Si tratta di un conflitto interiore che li spinge a confrontarsi con le implicazioni morali delle loro azioni nel contesto del gioco. In particolare, ciò induce i giocatori a riflettere più approfonditamente sulle problematiche etiche tipiche del genere sparatutto. Durante queste fasi di caricamento, il gioco stesso pone all’utente la domanda: ‘’Do you feel like a hero yet?’’.
9 Sicart, M. (2013). Beyond choices: The design of ethical gameplay. MIT Press.
10 Keogh, B. (2012). Killing is harmless: A critical reading of spec ops: The line. Stolen Projects.
11 Sicart, M. (2013). Beyond choices: The design of ethical gameplay. MIT Press.
Attraverso strumenti come la teoria del gameplay etico ed il modello di disimpegno morale nei videogiochi violenti, è possibile decostruire il genere sparatutto per permettergli di divenire uno strumento contro una rappresentazione mitizzata e romanzata del conflitto armato. In particolare, due espedienti sono da contrastare al fine di evitare che l’ideologia militare si inserisca all’interno del contesto dei titoli sparatutto:
Questi aspetti possono essere sovvertiti attraverso l’implementazione di un design etico chiuso, che costringa il giocatore a sperimentare una frizione cognitiva nei confronti delle azioni richieste dal videogioco. Questo, combinato con la responsabilizzazione dell’utente, il quale ha consapevolmente scelto di intraprendere un’esperienza contenente situazioni moralmente riprovevoli, consente al giocatore di interrompere l’automatismo che lo induce a seguire il gameplay-loop, centrato principalmente sulla violenza, e lo invita a riflettere sulle proprie azioni all’interno del mondo virtuale da un punto di vista morale. Inoltre, tenendo conto dei meccanismi di disimpegno morale, è possibile identificarli e successivamente destrutturarli al fine di creare un’esperienza che non giustifichi la frizione cognitiva provata dal giocatore.
Bandura, A. (2011), Moral disengagement, The encyclopedia of peace psychology.
Hartmann, T. (2017), The ‘moral disengagement in violent videogames’ model, Game Studies, 17(2).
Hussain, T & Higham, M. (2019), Call Of Duty Dev Addresses Highway Of Death, Waterboarding, And The Intent Of Its Story, gamespot.com, da https://www.gamespot.com/articles/call-of-duty-dev-addresses-highway-of-death-waterb/1100-6471037. (ultima visita 04/10/2023)
Keogh, B. (2012), Killing is harmless: A critical reading of spec ops: The line, Stolen Projects.
Lin, J., Liu, R. D., Ding, Y., Yang, Y., Jiang, S., & Ding, Z. (2023), Counter-attitudinal intervention decreased positive attitudes and behavioral tendencies towards video games, Computers & Education, 201, 104816.
Sicart, M. (2013), Beyond choices: The design of ethical gameplay, MIT Press.
Sicart, M. (2011), The ethics of computer games, MIT press.